Riflessioni e Critiche sulla Geoarte:

Prof. di Storia dell’Arte Accademia di Napoli e Critico Rosario Pinto (NA): “La Geoarte”. 1990.

“La Geoarte può essere considerata la risposta Europea alla Land Art Americana. La base è data dalle logiche “concettuali” e, mentre la Land Art pone al centro della conoscenza dello spazio e la misura dell’uomo che ne deriva, la Geoarte aggiunge a tale abbrivio creativo lo spessore storico ed antropologico costituendosi non solo in intervento sul territorio- come la Land Art- ma anche come tentativo della sua interpretazione”.

Arch. tto, Design, Artista e Prof.re Facoltà di Architettura, NA. Riccardo Dalisi: “Una Formica gigante a Formicola. 2010. (NA):

…Ripercorrendone le forme, i chiarori materici, i ritmi, le libertà, le occasioni naturali, sono entrato in una sorte di mondo a parte. Un mondo a mezza strada tra natura ed artificio, tra libero istinto e mediato proposito. In questo vedo la modernità di Di Giovannantonio ricordando i rapporti antichi con lui, già da tempo trascorsi, quando mi conduceva tra i carbonai della sua terra, Formicola. Lì si univano la nostra sensibilità e l’interessamento per il gesto minimo legato al lavoro umile e legato alla montagna e alla campagna. …Interessa in Di Giovannantonio il cogliere le forme libere e fortemente espressive liberandole dalla funzione (naturale o artificiale che sia). E’ come proseguire il gesto che fa la natura, proseguirne la vitalità”.

Critico d’arte e Prof.re di Filosofia: Stanislao Femiano: “Per una nuova estetica. Formica e la Geoarte. 2007. (CE)

“FORMICA” è lo pseudonimo artistico del Maestro Gennaro Di Giovannantonio. Il nome d’arte assume con calore filiale il toponimo della sua terra d’origine, Formicola, come elemento ideologico forte di orgogliosa appartenenza ad un territorio tra i più belli e incontaminati della Campania. In una regione, la nostra, tra le più martoriate d’Europa sul piano umano, materiale ed ambientale, il microcosmo dell’entroterra, ancora legato alle memorie dei Padri e abitato con religioso rispetto, è vissuto dagli animi più nobili con affetto sincero. E’ un’ideologia forte, quella del legame biologico e sentimentale con la Terra Madre. E’ la terra che ti nutre e ti tiene al mondo. E’ la terra per cui FORMICA nutre un affetto commovente.
FORMICA ha elaborato e pratica l’estetica della Geoarte; di un’arte intesa come espressione dei valori più veri e autentici che i territori incontaminati continuano a conservare nei gesti semplici, nei riti, nelle parole sincere. E’ un’arte che suole servire il principio della verità e non l’artificio alla moda, vacuo e inconsistente. Certo, in tempi difficili come i nostri, in cui si sono fatti deboli i legami e le idee, può addirittura meravigliare che un artista assuma proprio il territorio in cui vive come referente primo per la propria arte. L’arte che si fa dipende dall’uomo che si è. In tempi di debolismi e nichilismi come i nostri, in tempi di omologazione globalizzanti, il territorio è testimone autorevole dell’animo dell’artefice e della sua sincerità.
FORMICA è scultore, pittore, poeta; un artista completo ed eclettico che sa maneggiare con cura e perizia un amplissimo spettro espressivo ed estetico. E’ vero, la provincia italiana, quella più profonda, genera talenti insospettati che aspettano solo di essere scoperti e portati alla ribalta del gran pubblico per farne emergere le opere artistiche spesso impressionanti per originalità ed audacia. Semmai il problema è quello della visibilità della provincia, non della sua capacità di produrre. Semmai il problema è quello della circolazione delle idee e delle occasioni per rappresentarsi all’estero. La parola poetica di FORMICA è carica di tensione morale e di pathos per la condizione umana disorientata e lacerata dei nostri tempi di transito dalle società nazionali ai nuovi equilibri del mondo globalizzato. E’ un’arte impegnata a smascherare la menzogna che ottunde il cuore. E’ un’arte impegnata a servire la verità. E’ un’arte che non vuole più giocare e trastullarsi negli estetismi estenuati alla moda. E’ un’arte che si fa vita. La vita profonda delle cose che palpita nel cuore umano e nei nostri monti.
Le sculture di FORMICA sono forme che emergono dall’abisso. Sono divinità totemiche che emergono dalle regioni più profonde del cuore umano e della natura. Per FORMICA, come ricordavano antichi padri, le divinità sono più benigne agli uomini quando sono fatte di legno e argilla. Sono gli dei di una umanità semplice e pia, rispettosa del creato e ancora capace di meravigliarsi e di comporre canti poetici semplici e sinceri agli dei e agli eroi. La fede religiosa di FORMICA vede animisticamente la divinità immanente nella natura, nel vento, nelle sorgenti nelle vette, nei grandi alberi. La poetica di FORMICA è la poetica della natura, della vita, del mistero del creato. All’artefice resta il privilegio di sfiorare il mistero e rivelarlo agli altri mediante opere esemplari, le opere d’arte. FORMICA intuisce che oltre l’apparenza delle cose palpita una vita profonda nel creato. Come un iniziato ai misteri, raccoglie la vita profonda delle cose e ce ne parla attraverso cifre esse stesse misteriose eppure comprensibili per la forza che imprime alla materia che plasma con padronanza. La materia cede sotto le sue mani e si lascia plasmare pronta a cedere alla forza demiurgica dei gesti. E’ per questa ideologia forte che FORMICA scopre nei tronchi dei suoi boschi le forme misteriose delle divinità nascoste della natura.
FORMICA è un sacerdote, è uno sciamano che comprende il linguaggio dei boschi e delle foglie nel vento e ne scopre le forme nelle sue grandi sculture agili che svettano verso il cielo ed anelano alla leggerezza dell’aria e delle folate di fumo dai lignei tumuli dei carbonai che si spandono in spire su in alto verso i nembi. Sono opere che promanano intensa energia. Quasi ad avvicinarti ti sembra che ne possano scoccare scintille e baleni. Il dinamismo che FORMICA imprime alle sculture è già presente nella materia; all’artefice tocca il raro privilegio di scoprire e liberare la forza che la natura già possiede in abbondanza. Le senti vibrare per plasticismo formale e per la loro stessa interna energia. Sono sculture fatte per essere accarezzate, percorse con lo sguardo e assaporate per il delicato profumo del legno. E senti muschio, castagne al fuoco, aroma di mosto. E’ un’arte sensuale, nel vero senso del termine, da vivere a gustare con tutti i sensi che ci fanno sentire il buon sapore delle cose di un tempo. FORMICOLA è uno degli artisti casertani più enigmatici ed interessanti. L’enigma è la cifra del mistero. E’ un’arte esotica, la sua; un’arte che raccoglie e sintetizza tutte le suggestioni memoriali ed estetiche del territorio. La categoria di Geoarte, elabora da Formica per definire le proprie coordinate culturali ed artistiche, sintetizza lo stretto rapporto tra artefice ed il proprio territorio. E’ una concezione originale che riconosce non solo all’artista la capacità demiurgica, ma addirittura al territorio, in un dialogo fitto con la memoria, la cultura e l’antropologia del lavoro, degli usi, delle credenze e delle visioni religiose. Il territorio è assunto come garante della sincerità e della autenticità del sentimento artistico ed è avvertito come riferimento forte in tempi di spaesamento per l’indebolimento dei legami prodotto dalla globalizzazione. Le opere esemplari sono quelle che continuano a porre domande. Sono codici che comunicano idee, impressioni e sensazioni con l’enigma della rappresentazione simbolica. E il simbolo è la cifra stilistica delle religioni e della rappresentazione magica del mondo e del sovramondo. Per FORMICA, l’arte è un linguaggio che rappresenta e interpreta i tre mondi differenti e pur vicini in cui si differenzia l’Essere: mondo fisico della materia; sovramondo metafisico di Dio, dei Valori e degli ideali; mondo umano di interpretazioni, fantasia e sentimento. L’artista interpreta e rappresenta i tre mondi. L’interprete è colui che svela i significati nascosti. Interpretes, dal latino inter-pretium, è il mediatore che inter, mediando tra chi vende e chi compra, determina il pretium, il prezzo e il valore di una merce. L’artista è colui che si pone come mediatore tra i tre mondi e gli uomini, per rivelare le cose nascoste e mettere ordine nel disordine del mondo. La creazione artistica è espressione della capacità umana di svelare i segreti dei tre modi in cui si manifesta l’Essere. Nel XX secolo alcuni grandi artisti, sia laici che credenti (Matisse, Rouault, Manassier, Bazin), hanno posto il problema di un’arte che fosse realmente in grado di esprimere la spiritualità nelle cose, arrivando spesso a soluzioni di grande valore artistico. Ma già nel 1910 Kandinsky, nel suo testo “Uber der Geistige in der Kunst”, parla della politica profetica dell’arte e dell’astrazione come ricerca di interiorità. Cominciò così a farsi avanti l’idea che l’arte, quando si emancipa dalla materialità e slitta oltre la dimensione fisica, accede ai territori del trascendente. L’arte per FORMICA non è compiacimento esteriore. E’ vero travaglio. E’ la ricerca di una traccia di luce nel buio della condizione umana.se la coscienza umana decide di rappresentare la sofferenza, quale può essere il senso della parola letteraria e dell’arte? Il grido disperato e soffocato, oppure la parola poetica e la rappresentazione artistica? Davanti a queste domande si pone FORMICA quando la pulsione artistica lo spinge a creare. Davanti alle grandi tragedie della storia, le arti possono rappresentare la sofferenza umana e il Silenzio di Dio? Quali dipinti o sculture possono creare gli artisti che si ispirano alla guerra o agli orrori della sofferenza umana? La parola letteraria e la rappresentazione artistica, possono praticare solo due strade possibili: il silenzio dolente e muto oppure l’espressione che dia voce all’indignazione che al sentimento di dolore e pietà. Parole umane e rappresentazioni pittoriche non sono in grado di esprimere compiutamente la indicibilità della sofferenza umana. Eppure, chi raccoglierà il grido di dolore dei bambini mutilati, dei padri torturati, delle madri stuprate e uccise? I mezzi di comunicazione di massa con le loro immagini, che sembrano uscite dal film di guerra, banalizzano la sofferenza, al punto che si assiste agli orrori della guerra dalla comoda poltrona di casa o mentre si pranza. I mezzi di informazione, con la loro azione martellante, hanno prodotto l’assuefazione dello spettatore alle scene di crudeltà. La letteratura e l’arte hanno la capacità di rappresentare la condizione umana in tempi di guerre e di lotte; gli scrittori e gli artisti hanno la sensibilità per rappresentare il dramma affinché lo spettatore provi i sentimenti di pietà e di dolore e rifletta sul senso del messaggio e sulle possibili vie per contribuire a migliorare il mondo? Con quale linguaggio e con quali forme la letteratura e l’arte rappresentano e interpretano il dramma e la speranza? Quali parole e quali immagini possono rappresentare il dolore dell’uomo? Elie Weisel, scrittore che ha vissuto la deportazione ad Auschwitz, in La notte, IV capitolo, descrive l’impiccagione di un ragazzino. Alla domanda: “Dov’ è, dunque, Dio”, che si leva tra i deportati, il narratore risponde: Dov’è, Eccolo: è appeso a quella forca”. In altri termini, con le forme classiche si può rappresentare un mondo dilaniato dal dolore? I mezzi tradizionali in poesia e in arte figurativa, con immagini cesellate con cura classica, possono esprimere l’angoscia, la morte, la mancanza di speranza dell’uomo trovato dalla irrazionalità della guerra? A questa domanda, la risposta più impressionante per la sua carica di dolore sconvolgente, ha fornito Munch nelle celebri opere come Ansietà e Urlo. Giuseppe Ungaretti ha espresso al grado eminente delle possibilità della parola poetica, la condizione limitata dal linguaggio dinanzi alla guerra orrenda e ingiustificata. E la parola poetica è parola tremante nella notte. In Veglia, dalla raccolta poetica Porto sepolto, del 1916, leggiamo: “Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato, con la bocca di degnata volta al plenilunio, con la congestione delle sue mani penetra nel mio silenzio, ho scritto lettere piene d’ amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”. Il dolore del poeta davanti alla sofferenza incomprensibile e al silenzio di Dio, si fa delirio; in solitudine: “Ma le mie urla feriscono come fulmini la campana fioca del cielo”. Quando nella storia, la vita umana è deliberatamente calpestata fino allo sterminio sistematico, allora anche il linguaggio poetico e figurativo devono ammettere l’incapacità dell’espressione piena, sapendo di poter esprimere soltanto vaghe cognizioni del dramma. Allora dobbiamo ammettere che le sofferenze immani hanno decretato la morte dell’arte letteraria e figurativa? Dopo le urla disperate di Auschwitz e il silenzio di Hiroshima e Nagasaki, fare letteratura e arte ha ancora un senso? Se la letteratura e l’arte sono incapaci di rappresentare con parole e con forme la razionalità della storia, allora ai poeti, agli scrittori, agli artisti non resta che rifugiarsi nell’estetismo dell’arte per l’arte? Se la coscienza umana davanti al mistero della sofferenza atroce esorta al silenzio, ala parola poetica e alle arti figurative non resta che giocare? Oppure possono pensare ancora di contribuire a smascherare i crimini e a indicare la via per rimettere ordine nel mondo? FORMICA ritiene possibile continuare a fare arte con alto intento morale. L’opera “Vita Negata” è esemplare della sua serie concezione dell’arte. Una forma vagamente umana, che ricorda gli abbozzi di un embrione, è percorsa da una profonda lesione ed è lacerata da crescenze livide. Il simbolismo è forte e si avverte con evidenza. E’ opera apertamente anticlassica ed espressionista, segnata a fuoco dal carattere del soggetto. E’ un’opera in cui è totale l’accordo tra contenuto trattato e la forma adoperata per esprimerlo. Oltre il dolore, resta un lume di Speranza, a riscattare la paura?

Dott.ssa e Critico Indipendente Silvia Petronici (FI): “Dal basso verso l’alto”. Prato 2005.

Il metallo è coscienza morale, l’urgenza della denuncia e del rammarico, la critica politica della modernità. Il legno è lo spirito della Terra e l’ascolto. La Terra arcaica, la Terra madre parla in un linguaggio di forme totemiche, profondamente simbolico. Fiori e frutti dal segno a tratti raffinatamente romantico a tratti criptico e primitivo parlano dal basso verso l’alto, dall’uomo al divino sopra di lui. La Terra non è solo matrice archetipica di queste preghiere di legno, ma è anche, come spesso sottolineato nei titoli, luogo materiale, luogo di esistenza nel tempo. E qui ancora discorso significante con tutta la sua urgenza e il suo colore sociale e politico. Dal ventre ricolmo di mondi e dai seni rigonfi delle donne presenti nell’opera passano anche le metamorfosi ideali dell’uomo artista, le sue aspirazioni politiche al cambiamento. Ciò che visibilmente cambia, nel corso della poetica qui reperibile dalle opere mostratemi, è la forma del mondo dell’artista, del mondo che osserva, che pensa, che prova ad interpretare.

Dott.ssa Silvia Petronici (FI): “HUMUS. La sostanza dello spazio”. Palazzo Reale di Caserta. 2010.

…La nozione di Terra, e ancora di Madre Terra, è centrale nella speculazione filosofica e nella ricerca artistica di Gennaro Di Giovannantonio. Il suo pensiero, che egli raccoglie nella definizione di Geoarte, è un pensiero ecologico e spirituale. A partire da un profondo rispetto per l’identità e le memorie arcaiche del suo territorio (il Sannio), e la sua riflessione si immerge nell’analisi del contemporaneo e dei suoi rischi di abbandono e di perdita “del luogo”… La ricostruzione di questo legame armonico perduto nei luoghi di transito contemporanei è l’obiettivo della Geoarte. In essa si mischiano le istanze alla responsabilità per le sorti della natura avanzate da Beuys come i primi approcci della Land Art o dell’Arte Povera fino a giungere alle mature conclusioni dell’Art in Nature che dagli anni 80 prosegue la sua spinta fino ad oggi…

Arch. Artista e Critico: Savino Marseglia (Prato): “Il Canto della Terra”. Palazzo Datini. Prato, 2005.

“L’Opera di Formica vive del canto della terra, la gioia e il dolore di questo canto scaturisce dalla materia delle sue incantevoli sculture, modellate come organismi in perfetta armonia e simbiosi con la natura. ….L’artista ricorre ad un linguaggio espressivo che fa della sua terra il silenzioso testimone della propria esperienza e in particolare di una memoria di un’epoca remota che vedeva l’uomo inscindibilmente legato ai cicli della natura”. La premessa di tale ricerca espressiva deve pertanto essere ritrovata da un lato nel mito, inteso come racconto, da un altro in un’indagine antropologica che egli traduce nella sua opera in un linguaggio essenziale, costituito da icone ieratiche che traggono il proprio nucleo della propria ispirazione e la propria forza poetica dal rapporto con la terra.

Critico d’arte, Giornalista de “Il Mattino” di Napoli, Carmine Aurilio: “Radici di ogni cielo. Sacralità cosmica” 2005

Fare filologia con la parola “radici” e giocare con radici lignee è un filosofare sulla vita intellettuale di un popolo, di tutti i popoli, che hanno, seppur diverse, le stesse religiosità, identiche paure, simili aspirazioni. E vivono sotto lo stesso cielo, calpestano lo stesso pianeta, temono lo stesso ignoto. Il Cielo come unico padre, creatore e riferimento di ogni vita. Entità fisica e metafisica. Con il mutare delle stagioni, entità fisica, determina i cicli della vita dei vegetali, con i cambiamenti meteorologici fissa le metamorfosi degli stessi e con le fasi lunari ne influenza crescite ed umori. Genesi e palingenesi del cosmo derivano da lui, entità metafisica. A lui si rivolgevano gli oracoli per trarre auspici. Era lui che veniva supplicato per l’abbondanza delle messi. È lui che determina ogni forma di vita e concede vitalità alle radici, umane e vegetali. È lui che crea, così, una sacralità cosmica che permea ogni cultura e si incunea in ogni anima. Sacralità che comporta lo sviluppo concettuale utile per esplorare la grande esplosione che è l’universo. Sacralità che permette di differenziare il significato del vivere da quello dell’esistere. Questo il senso dell’arte rappresentata da Gennaro Di Giovannantonio, Formica in coerente omaggio alla sua etnia e cultura, con l’installazione della rassegna scultorea “Radici di ogni Cielo”. Un senso caro, a livello letterario, a Paolo Volponi, che scriveva, nel lontano 1965, in La macchina mondiale, “per vivere basterebbe soltanto mangiare e riprodursi, invece per esistere occorre ogni giorno ricostruirsi, cioè obbedire ad una legge superiore che governa l’universo incarnato e vivente nei corpi di materia organica”. Formica sente l’arte come capacità di evocare, con la materia, le radici appunto, l’immagine interiore che ognuno ha in sé, dando nome e valore a tutto ciò che passa in anonimato e che ha nome solo nel mistero della vita. Con la propria terra, con la terra in genere, ha un legame intensissimo e da lei trae ispirazione e i materiali per le sue opere. Intimamente legato al mondo rurale ne coglie segni e significati arcani, e contestualmente invita a modificare quelli radicati nell’immaginario individuale e collettivo. Le sue sculture, pur se con una figurazione astratta, a caratterizzare uno stato psicologico, una dimensione spirituale. Si avverte alla lettura la suggestione del recupero di un mondo arcaico e primitivo dal forte contenuto allusivo in termini di simbolo e di metafora. L’armonia estetica, il riferimento emblematico, la citazione, il recupero in chiave simbolica della realtà esteriore e naturalistica o interiore e psicologica, gli permettono di conseguire un equilibrio di creatività e di stile con il quale scandire geometria e figurazione in ogni sua opera. Le forme che realizza, libere composizioni, paiono richiamare alla memoria metafore di un passato riflesso in un presente carico di tensioni e di contraddizioni. Il risalto materico della superficie rugosa e imperfetta conferisce all’opera un che di rurale. Lo studio e il lavoro di Formica, infine, anche sul versante della sperimentazione dei materiali, appaiono interessanti e riflessivi di una notevole carica inventiva con la creazione di una figuratività simbolico-fantastica ricca di contenuti metaforici, in chiave intimistica e onirica.

Giornalista e Critico d’Arte. Franco Riccomini: “I Luoghi degli Stati d’Animo”. Montale (PR). 2005.


Gennaro Di Giovannantonio non è arrivato all’arte per casualità ma per una precisa volontà operativa che sgorga da una fervida immaginazione legata peraltro a filo doppio della realtà di una civiltà mitica recuperata dalla memoria e piegata poi alla sua interpretazione. Le sue sculture lignee, sulle quali talvolta intervengono materiali mobili come il ferro e l’oro, raccontano spesso la storia della sua terra osco-sannita che egli ha studiato all’inizio con la vocazione dello storico, del ricercatore della cultura contadina che è alla base di un’economia “povera” solo in apparenza, perché è da quel mondo di economia disperata che iniziano le trasformazioni, i cambiamenti che portano ad una civiltà che sembra più evoluta ma che nella sostanza ha perso e perde la matrice di “luogo”. Sul filo di quella sottile filosofia di vita scorrono le ricerche di Di Giovannantonio nelle cui sculture riaffiorano i richiami, i simboli antropologici che fanno parte della storia del mondo. Con tutto il carico delle inquietudini e delle gratificazioni, bagaglio di ognuno di noi e che, in un gioco quasi di altalena, corrispondono ai nostri stati d’animo, sempre orientati verso quel diritto alla felicità che ci “sarebbe” dovuto. ….Ed eccoli i “figli di carbonai” in castagno locale, allineati secondo l’ordine di età , un’idea scaturita da una foto recente riproposta con un manufatto artistico di effetto stilistico notevole, in bilico tra realtà e astrazione; e accanto simboli, metamorfosi, guerrieri, solarità, struzzi in amore, paesaggi fluviali che sembrano tutti estratti dalla civiltà africana che peraltro è stata speso alla base di ricerche anche attuali. Ma c’è anche, forte, il richiamo della sua terra: una “infanzia negata” con giovani contadini che portano una gerla piena di spighe di grano, e altre immagini del mondo rurale.

Prof. e Critico indipendente Angelo Calabrese: “Nel senso della GeoArte:


… “Nel tempo dei mutanti, delle robotizzazioni, delle protesi, di cui si fa spesso uso eccessivo per rallentare in superficie i naturali processi delle energie in trasformazione, dov’è che la vita ha più vita? E’quindi tempo di progettare per il tempo della continuità, proprio come si esige nei rischi estremi. Occorre chiarirsi nell’identificazione Natura-Cultura come ineludibile spazio che comunica e come tale propone arte, arte di vivere a regola d’arte. Qui entra in ballo la vera scienza, quella che il geopoeta Kennet White proclama principio di poesia.
…La Geoarte nel nostro tempo dell’incertezza, sempre più avvezzo ai punti di non ritorno, ci fa pensare alle esigenze caotiche e all’ineluttabile e, soprattutto, si concilia con il pensiero di chi teme il tempo dell’ineluttabile. Al punto di non ritorno la ragione cade nell’oblio; la mettiamo da parte, la dimentichiamo come fece Teseo abbandonando Arianna a Nasso, lasciandola in asso: se dimentichiamo la ragione, è stato detto, quella si dimentica di noi senza indugio. Allora è meglio sapere, ritrovarci uomini storici e progettare eventi reali, senza mai perdere di vista le radici della nostra umana infanzia nel mistero del mondo”.